LA TRAMA E IL SUO DOPPIO
“Segni e non sogni” classificava Licini (con un po’ di limitazione) la sua pittura cinquant’anni fa. Perché no, invece, non favorire le nozze (non certo “mistiche”) tra segni e sogni, ovvero tra operazione manuale e pesca miracolosa nell’inconscio?
Tutto qui è il nodo dell’operazione di Sonnino da tanti anni. All’inizio era un reticolo, poi sono venute le oggettuali reti prima a maglie larghe e poi sempre più aggrovigliate (sempre ovviamente reti in funzione della retina dello spettatore, che diventa attivo attore del quadro in movimento virtuale), e oggi l’approdo al porto delle nebbie di autentiche reti riciclate dalla realtà di una “imago” (direbbe Jung) profonda come il mare. E, come questo elemento, legata all’inconscio di ogni Origine o Rigenerazione.
Sempre, in questa pittura s’è avvertita l’esigenza del reticolo, fino alla distruzione dello spazio prospettico della tela, in vista semmai del suo recupero strutturale: la trama e l’ordito, come si è sempre designato il lavoro di tessitura (anche della tela tesa su un telaio). Tutta la storia della pittura (da Tiziano a Dorazio, da Raffaello a Pollock) è una questione di tramare, ovvero di progettare.
L’esigenza che avverto in questa lucida operazione di oggi è di tramare dimostrando chiaramente che si sta tramando, lavorare cioè in laboratorio quasi permettendoci di mettere l’occhio al buco della serratura, applicare un metodo e allo stesso tempo spiegarlo o cercare di renderlo trasparente nell’opera.
La trama e il suo doppio.
Reticoli all’inizio (Venturoli parlava bene di Vieira da Silva) e poi reti di lana a maglie allargate (Solmi parlava di Pollock) e poi l’arrivo a un sottile discorso i cui la trama bianca su nero pronuncia ancora una volta il discorso sul doppio. Il segno da cui era partita l’operazione diventa disegno e il disegno torna alla qualità primaria del segno. Il tutto in una serie di “oggetti ansiosi” in cui il piano di lettura è sempre doppio (o trasparente che è la stessa cosa), in cui si allude a curve orografiche o elettrocardiogrammi ma anche ingabbiature di prigioni mentali o fisiche. La tela ridiventa telaio, il filo intrecciato allude alla evanescenza (fino alla irriproducibilità di questi lavori), il quadro prospetta l’esigenza di uscirne fuori.
E allora, la rete nata come texture e poi diventata tattilmente reticolo ritrova la sua matrice oggettuale: il reticolo invoca la rete. Il trasparente utile arnese del pescatore: la metafora sottile del mare. E ancora una volta c’è il doppio in questi lavori ultimi: la rete trovata si unisce al reticolo lavorato, la nassa trovata (una imprevista cornice e insieme quadro all’antica) si unisce alla finzione di spazi liquidi, la rete raccolta sulla spiaggia deserta diventa, appesa all’angolo del muro, una ragnatela e cambia cosí il senso (alchimisticamente) da acqua a aria.
La scoperta di questi lavori è che non si inventa niente. Che si può stare anni a inventare un proprio segno-disegno per trovarlo poi, vivo come un personaggio, nell’inesauribile panorama della natura. Che l’unica traccia dell’uomo è il suo essere qui insieme e altrove, essere nello stesso tempo conscio e inconscio, diurno e notturno. E scoprire alla fine che, aggrovigliando nodi e avventurandosi nei lontani meandri della forma, sia arriva a scoprire l’imbarazzante verità del Semplice.
Maurizio Fagiolo
(presentazione della mostra: Franca Sonnino, Il Brandale Centro d’Arte e Cultura, Savona, 1977)